Il 2019 è un anno di soddisfazioni per l’export italiano: le previsioni di crescita di questo mercato toccano il 3,4 % rispetto all’anno precedente.
Questo dato è fortemente positivo se si pensa che le previsioni di crescita a livello globale sono in calo del 2,5% a causa di eventi come Brexit, le tensioni tra USA e Cina e il rallentamento dell’economia mondiale, fattori che, fortunatamente, non riescono a fermare il mercato delle esportazioni italiane.
Secondo i dati SACE Simest le previsioni di un "+" sul livello delle esportazioni, si concretizzeranno anche nel triennio 2020-2022.
Percentuali di Crescita 2019
Nel dettaglio, i dati più rilevanti sulle percentuali di crescita del 2019 in relazione a specifiche aree geografiche si possono schematizzare in questo modo:
- Asia e Nord America + 4,9%;
- Africa Subsahariana + 6%;
- Polonia, Repubblica Ceca, Russia + 4,1%;
- America Latina + 2,9%;
- Marocco, Tunisia, Qatar + 0,3%
Possibili scenari di arresto
Gli eventi internazionali sono i primi fattori che hanno un'influenza in chiave di crescita o decrescita sui trend dell'export a livello globale. Le tensioni di questo periodo non sono da sottovalutare: gli effetti dell’escalation protezionistica portata avanti dagli Stati Uniti potrebbe essere significativa sia per le economie più direttamente coinvolte, sia a livello globale, in considerazione degli impatti sulla fiducia degli operatori e sulle catene del valore.
Se gli Usa decidessero, nel corso del 2019, di imporre un dazio del 25% su tutti i prodotti provenienti da Pechino e sulle importazioni di autoveicoli dal mondo, le ripercussioni negative si estenderebbero a “macchia d’olio sull’intero sistema del commercio internazionale”.
In caso di una simile escalation, le esportazioni italiane di beni verso il mondo aumenterebbero più lentamente (-0,2 punti percentuali nel 2019 e -0,6% nel 2020), con impatti ancora più marcati per le nostre vendite verso gli Stati Uniti (-0,7% nel 2019, -1,1% nel 2020); questo aggraverebbe notevolmente la situazione anche sui mercati cinesi.
In uno scenario simile l’impatto sulle esportazioni italiane di beni, in toto, risulterebbero inferiori di 0,8% nel 2019 e 1,7% nel 2020 e non è da sottovalutare l’eventuale rallentamento legato al mercato tedesco, prima geografia di destinazione delle nostre merci e, più in generale, l'economia più strettamente connessa a quella italiana.
Il made in Italy all'estero: i settori trainanti
L'export del made in Italy ad oggi viene spinto principalmente dal settore agroalimentare, farmaceutico e dell’abbigliamento.
Dal punto di vista dei settori, le dinamiche attese per il 2019 indicano un “fenomeno di convergenza” : rispetto allo scorso anno, in cui le differenze di crescita tra i settori erano più marcate, nel 2019 i raggruppamenti cresceranno tutti a tassi compresi tra il 3,1% e il 3,8%. Saranno i prodotti agroalimentari a spingere le nostre vendite all’estero nel 2019 (+3,8%), seguiti dai beni intermedi, che grazie alla farmaceutica contribuiranno in maniera positiva alla dinamica delle nostre esportazioni (+3,6%), i beni di consumo, con in prima linea abbigliamento e arredamento (+3,4%) e infine i beni di investimento, raggruppamento che ha il maggior peso sul nostro export (40% del totale), che cresceranno a un ritmo leggermente inferiore rispetto agli altri (+3,1%), complici l’incertezza globale e le difficoltà del settore automotive.[/vc_column_text]
L'export secondo Confindustria, Sace e CDP

L’export italiano ha sempre dimostrato di avere le risorse giuste per affrontare congiunture avverse e complessità e anche questa fase non fa eccezione”, ha detto il Presidente di Sace, Beniamino Quintieri, commentando i dati sull’export. “Le nostre imprese esportatrici stanno raccogliendo i frutti di un lavoro di riposizionamento verso un’offerta di sempre più alta qualità, fattore che ci contraddistingue sui mercati esteri e che è strategico in questa congiuntura, perché ci mette, almeno in parte, al riparo dalle conseguenze dirette di dinamiche quali la guerra commerciale. Questa, la direzione per rafforzare la nostra competitività, che deve essere valorizzata tramite strategie che aiutino le nostre imprese a espandere e diversificare i propri mercati di riferimento, raggiungendo quote sempre maggiori e all’altezza del proprio potenziale. Un percorso da compiere consapevoli che l’export è la vocazione e il motore dell’Italia”.
“Per ridurre l’incertezza bisogna valorizzare le cose fatte bene negli ultimi anni. L’ho detto lo scorso anno e lo ribadisco anche questo, bisogna rafforzare le misure per il made in Italy”, ha detto Licia Mattioli, vicepresidente per l’internazionalizzazione di Confindustria, intervenendo alla presentazione del Rapporto di Sace Simest. “Il fatto che i fondi per il Piano Straordinario di Promozione del Made in Italy siano stati confermati va nella giusta direzione, ma proprio per l’importanza che rivestono chiediamo che diventino una misura strutturale e non straordinaria nell’agenda governativa e che si continui a lavorare per rafforzare la crescita delle imprese con una struttura manageriale all’altezza di intercettare le opportunità sui mercati globali”.
“Per vincere sui mercati internazionali – ha proseguito Mattioli – è necessario puntare alla digitalizzazione della manifattura, la leva che può consentire maggiormente alle imprese di modificare il proprio Dna per essere più competitive. Dobbiamo, come Europa, essere leader nell’offerta di tecnologie per la trasformazione digitale dell’industria, cosa possibile con una politica industriale a favore di investimenti in tecnologie, un più stretto legame con il mondo della ricerca, la formazione e l’aggiornamento continuo delle competenze”.
Il presidente della CDP-Cassa Depositi e Prestiti, Massimo Tononi ha invece dichiarato che “l’export continuerà a stupirci con la sua crescita: è uno dei pochissimi ambiti dell’economia italiana che dà sorprese positive e ci conforta anche per il futuro, ci sono degli aspetti – ha aggiunto – che sollevano delle preoccupazioni che vanno dal rallentamento dell’economia cinese, alle tensioni tariffarie e alla Brexit, però il nostro export ha dimostrato in passato di poter fronteggiare situazioni anche più difficili di queste, quindi l’ottimismo mi sembra giustificato”.